I ragazzi di Caesar Street (CAPITOLO 1)

 

«Ne sei proprio sicuro?»
«Andiamo, non fare il fifone!»
«Non sono un fifone, Jonah, però…»
«Però, però… Tutti questi “però”! Accendi la telecamera, Phil, sarà una figata assurda!»

E così fece. Phil accese la sua telecamera, che emise un flebile jingle e un non più assordante flash. Fece per avvicinare la telecamera al suo occhio destro, quello buono, quando un tuono colse i due giovani alla sprovvista. A Jonah scappò una trattenuta risata per lo strillo strozzato dell’amico, che ne fu visibilmente irritato ed imbarazzato. I due si avviarono lentamente al piano di sotto. Phil reggeva tremolante quella telecamera, dalla quale non riusciva a vedere granché a causa della scarsa luminosità. Jonah stava narrando sottovoce quale fosse il suo diabolico piano, girandosi di tanto in tanto verso l’obbiettivo con un sorriso innocente. Abbandonate le scale, si diressero verso il corridoio, illuminato da un singolo neon sul centro del soffitto. I due giovani si introdussero furtivamente in salotto, in cui due ragazze stese su un divano, non meno anziane di loro, fissavano attente un teen drama in uno schermo televisivo. Almeno credo fosse un teen drama, cosa vuoi che guardino delle ragazzine con la capacità di concentrazione di uno stegosauro? Phil si impiantò sotto il telaio della porta, filmando Jonah che, silenziosamente, si avvicinava alle ignare vittime.

Jonah si chinò, ed improvvisamente balzò dalla sua postazione, mentre gridava con tutta la forza che aveva in corpo. Durante il suo volo, una delle ragazze non tardò a ricambiare lo strillo del giovane burlone, che atterrò con una capriola a qualche millimetro dalla televisione. L’altra ragazza era solo molto confusa, sorpresa più che altro dall’urlo dell’amica.

«Jonah! – esclamò la poveretta impaurita – Ma che cazzo di problemi hai?!»
Mentre l’interlocutore era troppo impegnato a ridere per risponderle, la sua amica si girò verso la porta d’ingresso, fulminando Phil con uno sguardo, che provvedette a spegnere la telecamera.
«Davvero, Phil? Davvero?» gli disse, tramutando la sua espressione da confusa a delusa.
«Scusami, Leslie, non lo volevo aiutare!» fu la risposta che Phil le diede, tremolante dall’imbarazzo.
«Vai a preparare dei noodles per Amanda prima che mi riprenda mentre ti prendo a calci nel culo.»

Senza perdere tempo a rispondere, Phil fece un subdolo inchino alla signorina per poi teletrasportarsi in cucina ed eseguire gli ordini. Nel frattempo, Amanda riempiva di pugni Jonah, che ancora rideva per il parziale successo del suo scherzetto, mentre lo malediva con la sua vocina isterica. Il padre di Amanda entrò in camera, per rimproverare scherzosamente tutti e ripristinare la quiete in camera. I tre si accomodarono sul divano, lasciando un posto libero a Phil, che nel frattempo era rientrato in salotto coi tagliolini per Amanda. Nel giro di qualche minuto, i quattro amici sembravano essersi dimenticati di ciò che era accaduto e continuavano a guardare la tv. Conversavano del più e del meno: Jonah faceva battutacce sulle generose dimensioni del seno di Leslie, che controbatteva dandogli dello spilungone. Amanda raccontava di quando la professoressa di scienze rovesciò il caffè sul registro e le scappò una bestemmia, cosa che le costò una sostanziosa detrazione dallo stipendio. Phil era quello che più attentamente seguiva il film, ma lo faceva giusto per ridicolizzarlo e sparare frecciatine alle due signorine. In effetti quel film non doveva essere molto interessante, i teen drama di oggi sono realistici quanto la materia oscura.

Quella sera il meteo faceva passare agli amici di Amanda qualsiasi voglia di tornare a casa. Il vento accompagnava milioni di gocce di pioggia, che battevano sulle ringhiere producendo toni tutt’altro che rilassanti. Della luna era rimasta solo un’ombra, nascosta in un oceano di nuvole cupe, che assumevano una colorazione violacea a causa delle luci della città. La casa di Amanda, invece, era una tipica casetta inglese calda e accogliente. I suoi genitori avevano un gran gusto per l’arredamento: ogni stanza riusciva ad abbinare perfettamente la sobrietà dei colori alla vasta quantità di souvenir e chincaglierie che la madre portava dai suoi viaggi di lavoro. Il grosso camino di mattoni, rimasuglio dell’edificio restaurato, non offriva calore da parecchi anni, poiché sostituito da un sistema di riscaldamento centralizzato. Arrivata l’ora fatidica di andare, i tre amici si diressero all’uscita, incappottandosi per bene e salutando Amanda e i suoi genitori. L’ombrello di Leslie si ruppe, e Phil riuscì a convincerla a stare sotto il suo, che era più grande di quello di Jonah. Quest’ultimo lanciò uno sguardo d’invidia all’amico, che ricambiava lo sguardo con aria altezzosa. Provò a mettere una mano sul fianco di Leslie, che rispose al gesto con un brusco “non ci provare”.

Un nuovo giorno era arrivato. Uno dei galli dei vicini di Jonah interruppe il suo sonno leggero con il suo canto, se così si può chiamare. “Oh andiamo… – pensò il giovanotto – Quand’è che lo trasformeranno in brodo?”. Irritato dall’esistenza di quell’animale, Jonah si alzò dal letto e si stropicciò gli occhi. Lasciò passare qualche secondo per abituare la vista e fece un profondo respiro. Scese al piano di sotto per fare colazione, e vi incontrò i suoi genitori.

«Ehi, vecchi, come mai già attivi?» disse con tono scherzoso.
«Sai com’è – rispose la madre – qualcuno deve farsi in quattro per permetterti di andare male a scuola, darti una paghetta che sprechi in cappellini e mantenere pulita la tua camera.»
La risposta della madre lasciò Jonah spiazzato. Tentò di chiederle spiegazioni, ma suo padre gli fece cenno di stare in silenzio e lo invitò a seguirlo in corridoio.
«Jonah, è meglio che per un po’ evitiamo di fare gli spiritosi. Stamattina tua madre inizia il turno alle casse, quindi è parecchio irascibile.»
«Casse? E da quando mamma fa la cassiera?»
«Da stamattina, ti ho detto. Ricordi che la settimana scorsa l’hanno licenziata per presunto furto sul lavoro? Ecco, ora mentre qualcuno si decide a valutare il suo curriculum deve lavorare in quel supermercato vicino alla chiesa.»

Jonah si sentì in colpa per averla fatta arrabbiare, ma conoscendo sua madre sapeva che chiederle scusa l’avrebbe fatta arrabbiare ancora di più. Sua madre era una donna strana. Dopo aver bevuto il caffè e mangiato ciò che rimaneva di una brioche preparata il giorno prima, Jonah fece una corsa in bagno per farsi una doccia. Lasciò partire la sua playlist di fiducia sul cellulare, col meglio degli Offspring, Sum 41 e Green Day. Andava matto per quel tipo di musica: qualsiasi cosa somigliasse al punk lo divertiva e lo faceva sentire vivo. Suo padre militò per breve tempo negli Stainless Still, un trio hardcore punk di cui era batterista e cantante occasionale. Rilasciarono un solo disco, The way you want me to be, di scarsissimo successo commerciale, che portò allo scioglimento della band. Terminata la doccia, Jonah si vestì in fretta e sistemò rapidamente i suoi ricci capelli scuri. Si prese qualche secondo per controllarsi allo specchio, dopodiché si avviò lentamente a scuola, poiché aveva tutto il tempo per arrivarci con calma.

La strada per la scuola era ancora umidiccia dal temporale della sera prima. Jonah riusciva a sentire l’odore della pioggia pervadere tutto ciò che lo circondava. In un certo senso lo trovava rilassante. Al mattino tutto ha un colore diverso: gli edifici, gli alberi, le nuvole, le automobili. Persino il Sole stesso assume una tinta diversa. Non è accecante come a mezzogiorno, ma non è assente. Il paesino in cui vivevano Jonah e i suoi amici aveva in effetti un’aria molto accogliente, se guardato dall’esterno. Potevi essere sicuro vedere, ogni volta che uscivi di casa, almeno una famiglia intera con tanto di bambino piccolo camminare sul marciapiede, diretta magari in drogheria o in edicola. La chiesa sanciva il confine con il paese confinante, infinitamente più grande e sporco di città. È proprio lì che la madre di Jonah sarebbe andata a lavorare poco tempo dopo al famoso Cherie, il supermercato di cui parlava suo padre.

A metà strada, Jonah incontrò Amanda. Si salutarono abbracciandosi: tutto sommato si volevano bene, nonostante gli scherzi di lui e le reazioni di lei. Si conoscevano ormai da tre anni, avevano affrontato insieme l’ultimo anno di medie e i primi due di liceo. Lei aveva imparato a perdonare le sue burle, perché sapeva bene che Jonah raramente punzecchiava qualcuno che non gli piaceva, mentre era molto propenso a divertirsi con gli amici. Tuttavia, durante l’abbraccio, ad Amanda non sfuggì una cosa: Jonah aveva dimenticato lo zaino a casa. “Che stupido!”, pensò, approfittando per vendicarsi di ieri sera. Mentre camminavano, i due continuavano a conversare di compiti, musica e telefilm, con Amanda che faceva sempre più fatica a trattenere le risate. A Jonah non sfuggirono i sorrisi di Amanda, ma non gliene chiese il motivo, perché pensava di aver detto qualcosa di divertente. «Ehi Jonah, come li vedi oggi i miei capelli?» chiese la ragazza dal nulla. Jonah osservò attentamente i biondi capelli di Amanda, notando spiacevolmente un paio di ciuffi ribelli. «Beh… diciamo che hanno visto giorni migliori» le rispose, piuttosto sgarbatamente. Amanda si mise le mani sulla faccia, emettendo un gemito di disperazione. Quella mattina era stata oltre venti minuti a sistemarsi l’acconciatura per camuffarli. In effetti una piccola zona dei suoi capelli si era bruciacchiata a causa della piastra, cosa a cui però Jonah non aveva fatto caso. Amanda si preoccupava un po’ troppo, a detta dei suoi amici, del suo aspetto estetico. Aveva un corpicino piuttosto snello, che usava addobbare con vestiti di colori tenui. Non amava particolarmente i colori accesi, che riteneva “impossibili da guardare per più di 15 secondi”. Se c’era una cosa che le piaceva del suo aspetto era di sicuro il suo naso: molte sue coetanee, segretamente anche Leslie, odiavano il proprio naso, e invidiavano quello di Amanda. Questo la faceva sentire molto più sicura di sé, anche se non abbastanza da sconfiggere l’ansia per i capelli ribelli. Sperò di potersi sistemare meglio nel bagno della scuola.

Amanda e Jonah erano finalmente arrivati a scuola. Non fecero in tempo ad entrare però che notarono una fila di ragazzi correre tutti verso una stessa meta. Seguirono di corsa quei ragazzi, per scoprire dopo pochi istanti che stavano accorrendo ad assistere il loro amico Phil che veniva preso di mira da un qualche ragazzone. Jonah intimò ad Amanda di stare indietro e che ci avrebbe pensato lui. Si avvicinò al ragazzo e gli diede uno spintone: questo, però, senza dire una parola, afferrò Jonah e lo scaraventò via di qualche metro, suscitando lo scalpore di Amanda e di molti dei ragazzi che circondavano il bullo e la vittima. Data la sua stazza, doveva essere dell’ultimo anno e doveva aver passato più o meno tutta la vita chiuso in palestra. Apparentemente il suo nome era Jackson. Mentre Amanda correva in soccorso di Jonah, umiliato, Jackson continuava a prendere Phil a pugni nello stomaco, fino all’arrivo in scena di Leslie. Questa posò lo zaino per terra e si avvicinò al bullo, guardandolo negli occhi.

«E tu che cazzo vuoi?» le urlò Jackson, con aria estremamente seccata.
Leslie sembrò mimare la sua espressione facciale. «Un velo e un mazzo di fiori. Secondo te cosa voglio, bestione? Che lasci stare quel poveretto.»
«Philetto, qui? Vorresti farmi credere che questa figa è amica tua?!» Jackson guardò Phil incredulo.
«Tu che dici?»

Improvvisamente Leslie tirò un potente calcio nelle parti basse di Jackson, il quale subito dopo si inginocchiò urlante di dolore. Non contenta, la ragazza gli diede anche un pugno in mezzo agli occhi, colpendolo con le nocche. “Addio regalo di Natale, mi sa”, pensò guardando Jackson accasciarsi a terra. Mentre la folla si dileguava disturbata, Phil raccolse i suoi occhiali dal pavimento e corse ad abbracciare Leslie. «Ehi tesoro, con questa forza avresti potuto ammazzarlo, quello stronzo» rispose la ragazza, che si sentiva quasi soffocare. Phil si scusò e continuò a ringraziare Leslie per averlo fermato. I due furono raggiunti da Jonah e Amanda, che prontamente gli chiesero prima come stesse e poi cosa diavolo fosse successo. Phil spiegò che quel Jackson era il fratello di una ragazza con cui ci stava provando da una settimana, Dana. Jackson evidentemente non aveva gradito la cosa quando lo era venuto a sapere: non accettava l’idea che un “secchione ritardato” come Phil anche solo comunicasse via Facebook con Dana. Alché la soluzione più logica per convincerli a smettere di frequentarsi era malmenare malamente Phil. Frequentarsi inteso in senso lato, dato che in una settimana non ne avevano mai veramente avuto il tempo. «Ma guarda un po’, mezza volta che ci provi con una ragazza e finisci in un casino simile!» esclamò Jonah. «Capito? Mi viene da ridere…» disse Phil ancora scosso dall’accaduto. Nel frattempo, dei docenti stavano correndo in direzione di Jackson. «Oh, fantastico – proferì Leslie molto poco sorpresa – iniziate ad andare in classe ragazzi, faccio una capatina dal preside e vi raggiungo.»

La classe di biologia era già un mortorio da spoglia. In poco tempo essa si riempì di studenti, tra cui i nostri tre amici. Phil e Amanda si accomodarono in banchi vicini in quarta fila, mentre Jonah, preso di mira dalla professoressa, si sentì costretto a prendere posto davanti a tutti. Fu in quel momento che notò con estremo fastidio di aver lasciato lo zaino a casa. Guardò Amanda, come per dirle “Quando avevi intenzione di dirmelo?”, che le rispose guardandolo come per dirgli “Chi ride adesso, cretino?”. Phil, capita la magagna, emise una piccola risatina. Poi si rese conto che, poiché anche lui era coinvolto nello scherzo della sera prima, poteva aspettarsi di essere ricambiato. Prese i due suoi quaderni di biologia e li poggiò sul banco color panna. Erano quaderni molto spessi e di buona qualità, zeppi di appunti e approfondimenti. Phil aveva particolare cura della sua cancelleria: amava scrivere a mano, nonostante detestasse la sua grafia e passasse molto tempo al computer. Spesso ripeteva che le pagine più importanti della storia furono scritte con l’inchiostro e la carta, e per questo andavano rispettate. Nei corsi che seguiva si era guadagnato l’appellativo di “odioso asociale che non presta nemmeno una penna”: e perché avrebbe dovuto? Ne aveva una sola, di metallo scintillante, che ricaricava mensilmente. E, a proposito di penna, notò con dispiacere di averla dimenticata quel giorno. “Ok, karma, hai fatto il tuo dovere”, pensò. Si avvicinò ad Amanda e le chiese silenziosamente una penna, sperando che i suoi compagni non si accorgessero della sua dimenticanza, perché altrimenti avrebbero iniziato a prenderlo in giro.

«Grazie mille, Amanda!»
«Prego! Ah, a proposito, sei riuscito a recuperarmi quei film che ti avevo chiesto?»
«I due Parlor of lies dici? Scusami ma con la linea che mi ritrovo ci vogliono ancora due giorni…»
«Oh, uffa, ma non puoi fare quelle cose strane che sai fare tu col computer per farlo andare più veloce?»
«Non so davvero per chi mi hai preso, Amanda…»

“Mi ha scambiato per Mr. Robot, questa” pensò Phil. Non gli piaceva particolarmente essere sopravvalutato, anche se non esitava a darsi arie in presenza di belle ragazze. Dopo un breve battibecco tra Jonah e la professoressa, Leslie entrò in classe con un curioso sorrisetto sulle labbra e si sedette nel banco dietro a quello di Jonah, l’unico rimasto libero. Alla fine di quella interminabile lezione, Leslie e gli altri si riunirono fuori alla classe. Questa spiegò che era contenta di essere riuscita a contrattare col preside per due soli giorni di sospensione, alzando due pollici in su alla fine del suo discorso. Jonah non perse l’occasione di associare i due giorni alle “due evidenti proposte” che Leslie si ritrovava sul petto. Quest’ultima gli rispose facendogli notare la sua particolare altezza e ricordandogli dell’esistenza della regola della L, cosa che generò qualche risata sotto i baffi di Phil e Amanda. Certi ragazzi si divertono con poco, fortunatamente. Leslie prese Amanda per mano, dirigendosi assieme a lei al bagno delle ragazze, lasciando Jonah e Phil a discutere sugli ultimi videogiochi che avevano iniziato insieme. Il tempo passava parecchio lentamente in quell’istituto. È vero che dalle scuole dei paesini non ci si dovrebbe aspettare Hogwarts, ma quel posto era veramente una fogna. Il 90% dei muri erano di una deprimente tinta di beige, il pavimento dei corridoi era rigonfiato e alcune mattonelle spaccate, e di servizi igienici decenti non se ne vedevano dall’inaugurazione. L’unica cosa di veramente buono in quella scuola in effetti erano proprio gli insegnanti: tutti molto preparati e competenti, col difetto però di non riuscire sempre a gestire certi comportamenti degli studenti. A pensarci bene, anche la mensa non doveva essere tanto male, dal momento che Leslie ne usufruiva parecchio senza mai lamentarsene. Leslie andava matta per la buona cucina: dietro la sua scorza dura, i capelli tinti di nero e la corporatura endomorfa si nascondeva un fine e critico palato. Ogni volta che usciva a mangiare una pizza coi suoi amici riempiva sempre le scatole sulla qualità della pasta, la freschezza del formaggio, e ripeteva sempre “in Italia la fanno meglio”. Parte della sua corpulenza era in effetti dovuta a qualche assaggio di troppo. Amava mangiare più o meno quanto amava il punk, passione che condivideva felicemente con Jonah e che gli altri due in effetti non avevano mai capito. La cultura musicale di Leslie, differenza di quella di Jonah, si espandeva a molti più generi, da Elvis Presley a Pat Metheny, e di tanto in tanto prendeva lezioni di batteria dal padre di Jonah durante le vacanze. Loro due si conoscevano sin da bambini, ed infatti Jonah ebbe modo di assistere al prematuro sviluppo di Leslie. Nonostante non badasse chissà quanto alla sua femminilità, odiava sentirsi chiamare Les, perché tutto sommato era una ragazza e tale voleva rimanere.

La campanella segnava finalmente la fine dell’ultima ora. Per i quattro era giunta l’ora di andare alle loro case, dopodiché le ragazze si sarebbero viste per fare i compiti assieme (dopo che Leslie avesse fatto i conti coi suoi), Phil avrebbe dato ripetizioni di matematica al cuginetto di un suo amico e Jonah avrebbe fatto la sua serie di esercizi fisici rimandando lo studio a dopo cena. Fortunatamente la giornata scolastica era finita molto meglio di com’era iniziata. Vi era stata una parentesi piuttosto divertente con Amanda, che fece distrattamente cadere il vassoio col pranzo sui piedi e, per tentare di schivarlo, era saltata all’indietro dando una testata a Phil. Alla vista di quella scena, Leslie scoppiò dalle risate, sputando il succo di frutta che stava bevendo sulla maglietta nuova di Jonah, che iniziò ad imprecare. Quella scena meritava di essere filmata! All’uscita della scuola, i quattro erano soliti dirigersi tutti nella stessa direzione. C’era una strada, Via Caesar, dalla quale ognuno di loro poteva raggiungere le rispettive abitazioni. La strada principale, che si trovava perpendicolare tra il marciapiede della scuola e Via Caesar, aveva un apposito semaforo per lasciar attraversare i ragazzi che uscivano dalla scuola, ottenuto dopo tre anni di lotte con il sindaco a cui Jonah aveva controvoglia fatto parte. Quest’ultimo e gli altri si trovavano quindi fermi sul marciapiede, ad aspettare il verde del semaforo pedonale. Mentre discutevano della loro giornata a scuola, Phil s’incantò ad osservare ciò che si trovava oltre le strisce pedonali. Notò spiacevolmente di quanto fossero peggiorate le condizioni igieniche di quel posto. Bicchieri di plastica, fazzoletti, cicche di sigarette, chewing gum, e tutto per colpa del bar che aveva aperto l’estate scorsa. O meglio, per colpa di molti di suoi compagni, teste calde senza alcun rispetto per il prossimo e l’ambiente, che lo frequentavano. Diede un’occhiata all’insegna del bar, realizzata con un neon multicolore. Retro, ma di pessimo gusto. I tubi di vinile componevano la scritta BAR. La parte di insegna che lampeggiava il nome del bar era guasta, ma tanto che importanza aveva? Le uniche persone a cui poteva interessare come si chiamasse il bar erano quelli del fisco. Più avanti del bar c’era una lavanderia, in cui lavoravano i genitori di Phil molti anni prima che lui nascesse. “Non ci sono mai davvero entrato, ora che ci penso… Oh beh, magari quando tra ottant’anni avrò bisogno di una lavanderia ci farò un salto”, pensò prima di focalizzare l’attenzione sul semaforo. Il verde per i pedoni era finalmente scattato: Amanda si avviò per prima, seguita da Phil, Jonah e Leslie in ordine. Quest’ultima tendeva a mettersi sempre dietro di Jonah, perché in cuor suo sapeva che quell’idiota ogni tanto le dava una sbirciatina laggiù. Jonah chiese a Phil se poteva prestargli un paio di sterline per comprarsi delle gomme, a cui l’amico rispose «Ok, ma reggimi lo zaino visto che sei libero». Le ragazze risero all’inaspettato commento di Phil, e dopo che Jonah

Amanda fu investita da un’auto.

In quell’istante il cuore del mondo parve fermarsi. Ogni granello di polvere, ogni battito d’ali, tutto sembrò imprigionarsi in un attimo eterno, mentre le retine di Phil marchiavano a fuoco nella sua mente l’immagine di Amanda travolta dall’automobile. L’impatto gli sembrò durare cent’anni: era come se il tempo avesse congelato i suoi occhi, costringendolo a fissare il paraurti di quella vettura spezzare la schiena della sua amica. In una frazione di secondo sentì una grossa fitta nel suo cuore: aveva istantaneamente realizzato di aver perso qualcosa, qualcosa di importante, e che nulla gliel’avrebbe restituita. Tutti quegli anni insieme, tutte le volte che l’aveva aiutata a fare i compiti, i film visti, le gite al centro commerciale… tutto svanito. Tutto irrimediabilmente cancellato da un’automobile rosso sangue. Ma perché… perché lei? Perché adesso? Perché il conducente dell’auto avrebbe dovuto? Perché nessuno era riuscito ad accorgersi di quell’auto, da dove era sbucata fuori? Un milione di domande assalirono la mente di Phil mentre i biondi capelli di Amanda ondeggiavano nell’aria per un’ultima fatale volta.

L’automobile continuò a sfrecciare imperterrita nella distanza, mentre il corpo di Amanda rotolava sulla strada. Jonah, Leslie e cento altri studenti si avvicinarono sconvolti a quello che ormai era diventato un cadavere. Ogni richiesta di un segno di vita fu invana. Aveva già smesso di respirare, l’impatto era stato fatale. Mentre dei ragazzi chiamavano l’ambulanza e la polizia, Jonah e Leslie scoppiarono in un pianto di disperazione, mentre lei teneva la mano della sua defunta amica. Phil, invece, era rimasto paralizzato sulle strisce pedonali. Respirava debolmente, i suoi occhi erano persi nel vuoto. Le sue mani tremavano, e le sue gambe iniziavano a cedere. Sentiva il peso del suo corpo spingerlo verso il basso. Stanco di lottare per tenersi in piedi, si lasciò cadere, atterrando sulle ginocchia. Dopo pochi secondi, lo shock per la scena disturbante gli fece perdere conoscenza. Il resto del suo corpo fu tirato giù dalla forza di gravità, e quando la sua testa atterrò sul duro asfalto la lente destra dei suoi occhiali si frantumò. Era successo davvero? Poteva essere un semplice incubo? No… questa era la vita vera. La vita delle cose che succedono all’improvviso, senza nessun motivo apparente. Quel giorno il mondo aveva mostrato agli amici di Amanda il suo lato peggiore, l’altra faccia di una finta medaglia che si era nascosta alle loro spalle per tutti e sedici i loro anni di vita, brancolante nel buio, che pianificava il suo agguato. E aveva scelto un giorno come un altro per eseguire il suo piano. Da quel giorno, quel maledetto 2 Ottobre del 2016, la vita di Jonah, Phil e Leslie non sarebbe mai più stata la stessa. Stava per iniziare per loro una nuova epoca, la dura epoca della realtà del mondo degli adulti, che li aveva assaliti fin troppo in fretta e ingiustamente.

Pubblicato da Marco Iacone

In teoria sarei il co-creatore di questo sito, ma in realtà ha fatto tutto Giuliano.

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